Gianluca Calì, un coraggioso imprenditore siciliano

Gianluca Calì, un coraggioso imprenditore siciliano

A seguire un’intervista tratta dall’opuscolo della legalità “La dignità non si paga!” realizzato dall’Associazione La Freccia in collaborazione con l’Associazione ContrariaMente-RUM.

Da Palermo a Milano, un viaggio andata e ritorno. Gianluca Maria Calì, imprenditore nato a Palermo, nel 2009 era ritornato in Sicilia, dopo la sua esperienza a Milano in una concessionaria, con l’obiettivo  di aprire una filiale a Casteldaccia che si sarebbe dovuta espandere ad Altavilla Milicia. Dopo qualche mese dall’apertura furono incendiate quattro auto. Da quel momento si susseguirono una serie di intimidazioni, minacce, pedinamenti, strane visite. Tutto questo perché Calì ha avuto il coraggio di denunciare tutto alle Forze dell’Ordine senza mai piegarsi.

Manfredi Cavallaio: Chi è Gianluca Calì?

Gianluca Calì: Un normale imprenditore che ha avuto la voglia e necessità di rientrare in Sicilia dopo aver fatto una buona esperienza lavorativa in Lombardia e tornando in Sicilia per cercare di cogliere le opportunità che la stessa terra offre. Inizialmente nel settore dell’auto con il  fine di veicolare e commercializzare le vetture, in un secondo momento, ciò che sto sviluppando adesso, è quello di sfruttare l’enorme potenzialità del turismo che ha la Sicilia, per costruire delle piccole strutture ricettive per accogliere i turisti che vengono da ogni parte del mondo che vogliono godere delle bellezze della Sicilia.

M. Hai iniziato a lavorare in una concessionaria di Milano all’età di 28 anni. Dopo alcuni anni hai deciso di ritornare in Sicilia, aprendo una filiale a Casteldaccia. Perché questa scelta?

G. Mi sono trovato costretto a dover emigrare perché la mia terra non offriva nulla. Fatta questa esperienza e capito che la mia terra poteva farmi crescere professionalmente con un’azienda e farmi avere grosse soddisfazioni imprenditoriali, ho pensato bene di ritornare in Sicilia per creare ciò che fino a quel tempo non ero riuscito ad avere, cioè un’azienda importante, che mi dava delle opportunità, che poteva riqualificare il territorio e permettere a quelli come me che erano emigrati di poter tornare nel proprio paese

M. Cosa succede a Casteldaccia la notte tra il 3-4 aprile 2011?

G. Purtroppo il fatto che questa azienda aveva avuto grande successo sin da subito, quantificato in 24 milioni di euro di fatturato e 24 dipendenti assunti, non passò inosservato agli occhi della mafia perché interessi così importanti non potevano non essere gestiti o co-gestiti dall’interesse mafioso. Nella notte vi è un attentato che distrugge una parte delle vetture esposte nel salone ma la cosa più terrificante è stata quella di vedere tantissima gente, centinaia di persone con le braccia conserte, che non facevano nulla per cercare di limitare i danni o domare le fiamme, ancor peggio non hanno avvisato i vigili del fuoco, mi hanno solamente chiamato per avvisarmi dicendomi: ‘’Chiamali tu i vigili del fuoco’’.

M. Così decidi di trasferire l’attività ad Altavilla Milicia…

G. Mi trovo costretto a trasferire l’attività per diversi motivi. Contestualmente all’inaugurazione di Casteldaccia avevo comprato questo immobile ad Altavilla perché era mia intenzione fare attività, diversificare con magazzino ricambi e attività di officina che vedeva l’assunzione di ulteriori 13 dipendenti, passando così ad un numero di 37. L’attentato non mi ha permesso di assumere le 13 unità ma sono stato costretto anche a licenziare i precedenti dipendenti restando in 4. Chiudendo tutte le altre attività sparse, convergendo il tutto ad Altavilla.

M. Ad Altavilla hai subito minacce?

G. Qui ho subito una serie di attenzioni, scaramucce e piccoli attentati. Una in particolare è quella dell’8 marzo del 2013, quando si sono presentati due tizi che dicevano che non avevo paura che mi bruciassero le macchine, che me le rubassero. Era un chiaro avvicinamento del voler sentire una forma di attenzione da questi signori che volevano far capire che loro erano presenti e che loro c’erano.

M. Minacce sempre denunciate…

G. Si, puntualmente. Che sia importante o no, non sta a me stabilirlo, ma la cosa importante è fare sempre la denuncia, poi saranno i magistrati o le forze dell’ordine a stabilire se quella denuncia è di rilievo o meno.

M. Pensiero corretto. Ancora oggi è difficile trovare delle persone che hanno il coraggio di denunciare. Queste tue azioni da cosa sono dovute?

G. Questa volontà di denunciare mi torna un’azione normale perché se continuiamo a subire queste forme di minacce da parte di questi delinquenti, lo stato delle cose non cambierà mai. Una cosa importante che mi permetto di sottolineare è il fatto che noi siciliani siamo cinque milioni, i mafiosi che hanno pendenze o precedenti per mafia sono 5 mila, quindi non possiamo permettere a 5 mila ‘’persone’’ di continuare a gestire in maniera negativa la nostra terra.

M. Hai subito anche minacce di morte?

G. Assolutamente si, in più forme e in diverse maniere. Tutte puntualmente denunciate e ciò nonostante sono tranquillo e sereno.

M. Che cosa hai provato? Il tuo stato d’animo?

G. Pesante e dura perché ovviamente non sono un pazzo. Falcone diceva a proposito della paura, che solo la follia ci porta a non averne, soprattutto in una situazione del genere bisogna avere il coraggio e la forza di gestirla nei migliore dei modi, facendo conti con la normale quotidianità affinché non si possa essere condizionati.

M. All’entrata della concessionaria avete appeso un cartello: ‘’L’appello per non morire’’. Che significato ha per voi questo gesto?

G. Gesto dettato dalla rabbia perché subito dopo che ero uscito dalla caserma dei carabinieri per fare l’ennesima denuncia, volevo evitare che si riproponesse ciò che era accaduto con l’attentato precedente, cioè avere un incendio che magari preso per tempo nei primi cinque minuti poteva essere gestito con un secchio d’acqua. Poiché nessuno era intervenuto, era stato necessario l’intervento di due squadre dei vigili del fuoco. Questo appello voleva essere un richiamo d’aiuto a tutta la gente per bene di cui la siciliana è piena e far in modo che questi 4 farabutti non gettassero nello sconforto non solo me, ma anche tutti quelli che credono nel riscatto della nostra terra.

M. Attentati, minacce che hanno portato dei problemi all’attività dal punto di vista economico?

G. Assolutamente si, siamo oltre il 90% del calo del fatturato, le statistiche e gli studi di settore dicono che la crisi del mio settore può essere del 30%, massimo 50%, ma non del 90%. Ciò significa che una parte del crollo del fatturato è dovuto alla crisi, l’altra parte è causato dalla mafia, che in più modi e maniere mi ha cercato di distruggere in qualsiasi modo, anche tramite una forma di diffamazione. Inizialmente era stato detto che io facevo il narcotrafficante e si considerava l’attentato come uno sgarro fatto dalla malavita, poi è stato detto che facevo di tutto per farmi pubblicità.

M. Cosa consiglieresti ad un imprenditore che si trova nella tua stessa situazione?

G. Di denunciare con la massima tranquillità perché ormai la denuncia non è più solo una questione di dovere morale e civile, ma sta diventando qualcosa di conveniente perché la gente per bene si schiera a favore di chi denuncia.

Di Manfredi Cavallaro

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Eliseo
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Eliseo

Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza con lode presso l'Università degli Studi di Palermo. Ha scritto un romanzo storico, "Societas", edito da BookSprint Edizioni. Scrive sul blog di informazione online "Il giornale di Isola", ha collaborato con "L'ora", con il giornale online "MasterLex", con "IoStudioNews", Tv7 Partinico e Tgs.
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