La storia della marineria di Isola delle Femmine, dal paleolitico ad oggi
Due anni fa è nata ad Isola delle Femmine una nuova realtà associativa, l’Associazione nazionale marinai d’Italia, con il motto: “Una volta marinaio… marinaio per sempre”. L’associazione raccoglie una settantina di ex marinai, che hanno svolto servizio militare in marina, più altri simpatizzanti. Per celebrare questo secondo anniversario, uno dei soci fondatori, Giuseppe Bellone, ha deciso di far conoscere alla cittadinanza una serie di documenti che ricostruiscono la storia della marineria di Isola delle Femmine e che dimostrano le sue antiche origini. “Non ho la presunzione di essere uno storico”, afferma Bellone, “ma attraverso questi documenti cerco di mantenere viva la memoria storica del paese e di tramandarla ai nostri figli e nipoti”.
Fin dalle origini tra gli uomini che abitarono questi luoghi e il mare vi è stato un legame indissolubile. La presenza dell’uomo in questo lembo di terra risale alla preistoria. “Il territorio del Comune di Isola delle Femmine è stato abitato dall’uomo primitivo, che ha lasciato traccia di se nel Vallone della Cala, un paesaggio di montagne calve e scabre, ma fortemente suggestivo”, scrive Giulia Di Maggio Sommariva nel suo libro “Capaci e Isola”. Il Vallone della Cala è un vasto emiciclo compreso tra Punta Catena e Punta Maltese, delimitato da pareti rocciose modellate dal mare che, nella notte dei tempi, vi ha scavato una ventina di grotte, come la grotta ‘delle Colombe’, che si apre nelle estreme pendici del Pizzo Mollica, o la grotta ‘della Tonnara’, contenente resti di pasto ed industria del Paleolitico superiore. In queste grotte, inoltre, una prima ricognizione effettuata nel 1947 ha portato al ritrovamento di schegge di selce, ossidiana, terracotte preistoriche ma anche incisioni rupestri. “L’uomo che abitò le grotte di questo versante occidentale del Raffo Rosso, tra Isola e Sferracavallo”, continua Giulia Di Maggio Sommariva, “vide un paesaggio poco diverso dall’attuale”.
Questi primi uomini, scesi dalle montagne, trovarono un mare ricco di pesce soprattutto in quello stretto passaggio tra l’isolotto e la terra ferma. Era quello il luogo in cui l’uomo poteva pescare con più facilità ed è probabilmente lì che si formò uno dei villaggi di Hykkara, la città dei Sicani citata da Tucidide. Secondo lo storico greco Timeo, infatti, il nome della città sarebbe stato dato per il suo mare pescoso, di un tipo di pesce pregni chiamati Hykas o Ikkaron, e certamente la zona più pescosa tra Capo Gallo e Carini si trova ad Isola delle Femmine. Secondo un’antica tradizione, inoltre, Hykkara sarebbe da ricercare ad occidente da Palermo, sulla spiaggia compresa tra Isola delle Femmine e la località chiamata Carbolangeli. Nel corso della guerra del Peloponneso, il centro fu saccheggiato durante la spedizione ateniese del 415 a.C. e la popolazione venne ridotta in schiavitù.
Dopo il dominio cartaginese, nel III sec. a.C. la Sicilia divenne una provincia romana. Già da un secolo, però, ad Isola delle Femmine era attivo uno stabilimento per la pesca e la produzione del garum, una salsa di pesce molto apprezzata dai romani. Negli anni ’80 Gianfranco Purpura, professore ordinario di diritto romano e diritti dell’antichità presso l’Università di Palermo, ha rinvenuto sull’isolotto i resti di almeno sette vasche a circa 30 metri dal mare. “L’ubicazione di questi impianti il più vicino possibile al mare era determinata dalla necessità di consentire l’agevole trasporto del pesce nello stabilimento”, scrive il professore Purpura, “ma al tempo stesso il sito doveva restare al riparo dalle maree e dalle tempeste”. Dai fondali marini intorno all’isolotto provengono diversi reperti archeologici e sembra essere accertata l’esistenza di almeno un relitto antico di età ellenistica. “Ciò conferma la correlazione tra stabilimenti per la lavorazione del pesce e relitti antichi”, scrive Purpura.
C’è ancora tanto da scoprire, come ci dimostra il recente ritrovamento, poco fuori dal porticciolo di Isola, di un ceppo di ancora romana, databile presumibilmente fra il IV e il III sec. a.C.(per approfondire clicca qui). “La zona sicuramente è stata oggetto di intensi traffici commerciali, infatti sono stati trovati tantissimi ceppi di ancora simili a questo”, commenta l’archeologo Roberto La Rocca, che ha riportato alla luce questa testimonianza del passato, “e l’isolotto è stato frequentato almeno tra il IV sec. a.C. e il VI d.C., come ci dimostra la presenza di un impianto di lavorazione del pesce, il famoso garum”. Per quel tratto di mare passò anche lo scrittore e senatore latino Plinio il Giovane che, nell’80 d.C., in una lettera all’imperatore Traiano, affermò di aver osservato lungo la costa una “parva et pulcherrima Insula mulieribus”.
Successivamente gli impianti per la pesca furono ubicati nella terraferma. La prima testimonianza certa della presenza di una tonnara ad Isola delle Femmine è del 1176, quando il Re di Sicilia Guglielmo II, donò l’impianto con le sue pertinenze e il suo santuario alla chiesa di Santa Maria Nova di Monreale. Nel XII sec. la tonnara era tra le più importanti della costa palermitana e il territorio aveva una valenza strategica tale che fu necessario edificare delle torri di avvistamento, una a terra e successivamente un’altra sull’isolotto.
Il Comune di Isola delle Femmine nasce nel 1855, ma la storia della marineria proseguiva da secoli e le tradizioni marinare dei pescatori di Isola delle Femmine gradualmente spiegarono le vele su altre rotte, sempre più lontane. I pescatori cominciarono dapprima a spingersi verso Trapani, San Vito Lo Capo, le baracche di Trapani, Mazzara e verso le isole di Favignana e Marittimo. Nel 1856 un certo Brignone di Pantelleria si reca a Isola per reclutare equipaggi per la pesca nelle acque di Lampedusa e trova diversi uomini pronti a seguirlo, intrepidi lupi di mare, a bordo delle loro “capaciote”, barche ampie e leggere, solide ed eleganti, adatte alle migrazioni lontane. Nel 1870 Antonio detto u friddu e due dalmati, Novak e Molino, vengono in cerca di braccia robuste per andare in Tunisia a pesca dell’alaccia o sardinella aurita e a pesca di clupeidi da salare in Algeria e così le barche di Isola cominciano a battere in lungo e in largo le coste settentrionali dell’Africa: Mehdia, l’isoletta di Zembra fino a La Calle e piccole colonie di isolani si creeranno a Tabarka, a Susa, a Tunisi e ad Algeri.
Negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso i fondali della costa nord-occidentale della Sicilia si impoveriscono, anche a causa dell’uso indiscriminato della pesca con la dinamite, e così molti pescatori emigrarono in California. Sul fiume Sacramento vicino San Francisco diedero vita al nuovo borgo di Black Diamond, oggi Pittsburg, e in Alaska presero a pescare il salmone accanto genti di ogni parte del mondo. È da ricordare anche la storia di un motopeschereccio di Isola delle Femmine, costruito nel 1940 per conto di Antonio Balistreri, che dopo poco la sua entrata in servizio, in conseguenza dell’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, venne requisito a Palermo dalla Regia Marina e trasformato nel cacciasommergibile AS 57 S. Antonio. Fu al comando di questa imbarcazione che, nel 1942, l’ammiraglio italiano Antonio Scialdone affondò un sommergibile inglese, azione che gli valse una medaglia d’argento al valor militare. Ad Isola delle Femmine gli stabilimenti per la lavorazione del pesce durarono fino al 1960, con le ditte Aiello Francesco e Di Maggio Orazio.
Questo paese di pescatori ha dato centinaia e centinaia di ragazzi alla leva di mare ed è per questo motivo che, due anni fa, l’ex sindaco di Isola delle Femmine Vincenzo Di Maggio ha deciso di fondare il locale gruppo di “Marinai d’Italia” – ratificato ufficialmente dalla presidenza nazionale il 1° luglio 2015 – intestandolo a Giuseppe Favaloro, un giovane di Isola morto nel giugno del 1940, poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. “Era stato richiamato per fare servizio militare un anno prima”, spiega Vincenzo Di Maggio, “ed era imbarcato nel sommergibile italiano ‘Provana’, che venne affondato nel Nord dell’Algeria da un convoglio francese (per approfondire leggi qui). I Favaloro sono una famiglia di pescatori da generazioni ed ancora oggi praticano l’attività peschereccia, inoltre in tanti della loro famiglia hanno prestato servizio militare in marina, per questo ci è sembrato giusto dedicargli la nostra associazione”.
Il gruppo consta oggi di una settantina di soci. “L’amministrazione comunale ha visto di buon occhio questa iniziativa e il sindaco ci ha dato una sede al porto, anche se il locale è piccolo e speriamo di poterci trasferire in una sede più grande, in modo da ampliare la componente sociale”, continua Di Maggio, “i fini dell’associazione sono quelli di tener alto il culto della marina e delle nostre tradizioni. I marinai d’Italia sono presenti a tutte le manifestazioni e ricorrenze, alle feste nazionali e religiose. Inoltre organizziamo gite sociali, che sono un momento di aggregazione molto importante. Ci piace ricordare le storie legate al mare e alla marina e questo crea un forte legame tra i soci”.
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