Partiti per la tangente
Disse Enrico Berlinguer che “i partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela”. Ma vediamo cosa è giuridicamente un partito.
di Salvatore Casarrubea.
A determinare la vita politica del Paese e quindi le sorti del popolo italiano è la presenza del partito politico. Ai sensi dell’art. 49 della Costituzione: “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma se fin dall’inizio la norma è stata particolarmente chiara, invece non è stato facilmente comprensibile quale fosse la natura giuridica del partito. In breve, cos’è giuridicamente un partito politico?
Dopo tante controversie dottrinali, si è compreso che il partito è un’associazione non riconosciuta (ente di diritto privato). Nelle intenzioni del legislatore l’associazione non riconosciuta avrebbe dovuto dar veste giuridica a realtà minori e poco diffuse, motivo per cui sono state dettate pochissime norme per tale forma di organizzazione, e cioè gli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Essere un’associazione non riconosciuta non è certamente un caso, ma una scelta voluta dal partito che gli consente di non subire alcun tipo di controllo da parte dello Stato. Il non riconoscimento come persona giuridica implica che il loro ordinamento interno e la loro amministrazione sono stabiliti liberamente dagli accordi degli associati, e che quest’ultimi, mediante contributi, possono costituire un fondo comune (indivisibile finché dura l’associazione).
Ma il partito politico come qualsiasi altra associazione, impresa, società può indebitarsi, e a quel punto il riconoscimento gioca un grande ruolo. Infatti per le obbligazioni sorte, risponderà in primis il fondo comune e in solido con esso risponderanno personalmente coloro che hanno agito in nome e in conto dell’associazione. Non sono pochi i casi di partiti indebitati, a mio avviso, spesso non per fini pubblici, ma anche personali, visti i frequenti scandali: caso Lusi, ex tesoriere della Margherita impossessatosi di 25 milioni; caso Fiorito, pdl; caso Belsito, lega nord e così via – gli esempi non mancano. I creditori del partito sono spesso istituti di credito; risultato? I banchieri prendono quello che possono, cioè il denaro dei rimborsi elettorali. Quindi il partito ente di diritto privato ma svolgente una funzione pubblica, percettore di soldi pubblici, si indebita per fini privati e personalissimi. Lo scenario si lascia commentare da solo! Da ricordare che nonostante il referendum abrogativo del finanziamento pubblico ai partiti del 18 Aprile 1993, fu reintrodotto nel 1999 sotto forma di rimborso delle spese elettorali sostenute da partiti e movimenti politici. Ma si sa, come spesso avviene in Italia, a cambiare è la forma non la sostanza!
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